Chiedersi e chiedere “come stai?” è importante.
No, non tutti gli esseri umani, quando lo chiedono, sono davvero interessati alla risposta.
Si chiede per convenzione sociale.
Certamente, dipende anche dalla relazione che lega le due persone in interazione.
Credo, però, che il potere del “come stai?” si perda anche per altri tre motivi.
Spesso, si chiede all’inizio, quando ci si incontra, come in una filastrocca
“Ciao!” “Ciao!” “Come stai?” “Bene, tu?”
E anche quando la relazione, che lega le due persone, permetterebbe un approfondimento in più, è come se fosse troppo presto, come se l’interazione non si fosse ancora scaldata abbastanza da scendere nel profondo.
Bisognerebbe tornarci.
Più avanti, dopo qualche interazione più leggera, dopo quelle “chiacchiere di aggiornamento” del sistema, dopo un po’.
“Come stai?”.
Così, dal nulla.
Te lo sto chiedendo davvero, non perché devo, non perché è così che si fa, quando ci si incontra.
Te lo chiedo perché è importante.
Te lo chiedo perché mi interessa.
Chiedere “come stai?” a volte è vissuto come una responsabilità
Non ci hanno insegnato ad ascoltare.
Spesso, non abbiamo neanche avuto la possibilità di sperimentare quant’è potente, ascoltare.
Ci hanno insegnato a performare, a risolvere, a stare sul pezzo.
Non ci hanno neanche insegnato a verbalizzare i nostri bisogni, a dirla tutta. E questo lascia ancora più spazio all’automatismo per cui: “se mi racconti che hai un problema, probabilmente vuoi una soluzione”, quando invece a volte vogliamo solo parlarne, tirare fuori, sentirci visti e viste in ciò che proviamo - ma mica lo diciamo ad alta voce.
E allora potrebbe darsi che non ci siano le energie per risolvere i problemi altrui, perciò meglio non chiederlo veramente, “come stai?”.
Tuttavia, se imparassimo ad ascoltare, ci accorgeremmo che richiede molto meno sforzo che usare logica e raziocinio.
Non mi riferisco ad un ascolto passivo, ma quello potente, attivo, che non risolve il problema, ma risponde al bisogno di essere viste e visti in ciò che viviamo, riconosciuti e riconosciute in ciò che proviamo.
E no, questo non significa neanche essere il secchio emotivo di un lamentarsi incontrollato.
Anche il tempo di ascoltarsi e sfogarsi, dev’essere limitato.
Ma questo è un problema di confini, e lo approfondiremo più avanti.
Il supporto è una questione di corresponsabilità
Ci sono persone che rispondono raramente alla domanda “come stai?” con l’autenticità del loro sentire.
Persone che dicono “sto bene”, anche dentro un tornado.
Se sei una di quelle persone, potresti aver abitato in una famiglia o in un ambiente in cui gli adulti non parlano apertamente di ciò che provano - finché non li agiscono, i sentimenti, anziché esprimerli.
Allora potresti aver appreso, crescendo, che non è sicuro, per te, parlare di ciò che ti succede dentro, oppure che l’unico modo per restare nella relazione è stare bene - almeno ufficialmente.
Forse potresti aver attivato il “non disturbare” (trovi un approfondimento nella letterina precedente).
Perché è vero, a volte chiedere aiuto è faticosissimo, dire come stiamo ad alta voce può anche spaventarci, questa cosa di stare male può essere vissuta anche con annessa una sindrome dell’impostore (impostrice?), può essere vissuta come un fallimento, ci può far sentire un peso.
Insomma, può essere difficile dire “ciao, sto male, mi aiuti?”, e può essere altrettanto complesso chiedersi in che modo vogliamo ricevere l’aiuto altrui, però: io ho la responsabilità di partecipare alla nostra relazione (amicale, familiare, romantica che sia) e quindi anche di chiederti “come stai?” e di interessarmi a te.
Tu, hai la responsabilità di parlare dei tuoi bisogni in modo chiaro.
Hai la responsabilità di rispondere.
Affidarti al mio intuito, aspettare che mi accorga di quel micro-cambiamento nelle tue risposte, è non fare la tua parte.
Perché poi ognuno vive nella propria vita, quindi ci sono anche dei periodi in cui è già tanto se riusciamo ad esserci per noi, ed esserci per altre persone magari è ancora possibile, ma leggere tra le righe no.
Spesso, nella stanza di terapia, capita che le persone dicano: “L’ho detto! L’ho detto in modo chiaro, stavolta! L’ho detto!”.
Per poi concludere la seduta dicendo: “Okay, no, non l’avevo detto.”
Perché quelli che a noi potrebbero sembrare segnali lapalissiani, potrebbero invece risultare invisibili in un mondo che ci chiede di avere così tanto da fare.
E per carità, il mondo esagera, ma noi è in questo mondo qui che viviamo.
Quindi, mentre cerchiamo di cambiarlo, dobbiamo prenderne atto e agire di conseguenza.
Perché per dire “sto male, ho bisogno di aiuto”, bisogna dire: “sto male, ho bisogno di aiuto”.
Tutte le altre versioni indirette, non significano “averlo detto”.
È una nostra responsabilità parlare di noi. Così come lo è chiedere e ascoltare la risposta.
Lo so che sarebbe più facile e più comodo non dover affrontare la sbatta di fare quella fatica di cui sopra di dire cosa c’è che non va, di chiedere aiuto, di parlare chiaro e aspettare che l’altra persona ci intuisca - ma non è il suo compito.
Oltretutto, se di fronte a noi abbiamo una persona che si accorge anche del minimo cambiamento, che sembra intuirci subito, forse non è solo perché ci conosce.
Forse, questo suo “superpotere” dipende dal fatto che è cresciuta in un ambiente imprevedibilmente ostile, dove il dramma era dietro l’angolo.
Forse, ha dovuto imparare a stare in allerta, a individuare ogni piccolo cambiamento, a riconoscere il suono dei passi o il modo in cui viene girata la chiave nella porta, per prevedere, prevenire, mitigare, sopravvivere.
Insomma, un ambiente disfunzionale per cui ha dovuto sviluppare delle antennine, che sembrano utili, eh, e che sicuramente lo sono state, ma che si meriterebbe di mandare in pensione.
Perché non è sua responsabilità come stanno le altre persone.
Non è sua responsabilità il peso del mondo.
Il peso del proprio mondo interno è una propria responsabilità. Peso che può essere smezzato ricevendo supporto, vicinanza, aiuto concreto, sì, ma che sta a noi farlo sapere al mondo esterno.
Se oggi non te l’ha ancora chiesto nessuno, te lo chiedo io: come stai?
È importante anche ciò che provi tu.
È importante anche come stai tu.
Ed è importante prendertene cura e permettere alle persone per te importanti di fare altrettanto.
Cade a fagiolo in questo periodo…
Metto mi piace ancora prima di leggere, non ho mai dubbi sull'utilità di quello che condividi 💚