A volte aspettiamo che quello che desideriamo non ci faccia più paura
Il metodo dell'apnea
PRIME VOLTE
Quando avevo vent’anni, sono andata per la prima volta a sciare.
Sì, lo so, non è esattamente di stagione come racconto, ma io preferisco fare le cose di pancia quando si tratta di creare, il costo di forzarmi in altre regole per me sarebbe troppo alto. Significherebbe non fare.
Quindi, vent’anni, prima volta a sciare.
Pista Topolino, io, la più alta.
Spesso si parla della neuroplasticità dei piccoli esseri umani - cioè di quanto il loro cervello sia affamato e disponibile all’apprendimento - ma il fatto che loro ci passassero meno tempo di me, sulla Pista Topolino, non dipendeva solo da questo.
Non è solo facilità di apprendimento, io sulla teoria andavo fortissima: era la corteccia prefrontale il problema.
La corteccia prefrontale è particolarmente coinvolta nella valutazione dei rischi.
E i piccoli esseri umani, la corteccia prefrontale, devono ancora svilupparla tutta.
Io, mentre cercavo di capire come mantenere l’equilibrio, piegare le ginocchia, mettere il peso avanti, fare le curve e dove le metto le mani? queste bacchette servono? ma non posso toglierle? avevo la mia cara corteccia che mi anticipava i mille modi in cui mi sarei potuta fare male.
I piccoli esseri umani, se non hanno avuto esperienze che hanno mostrato loro gli stessi rischi, semplicemente non ci pensano.
Scendono, a volte si divertono.
LE EMOZIONI OSTACOLO
Nella stanza di terapia, molto spesso sentiamo le persone dire “vorrei togliermi l’ansia”, “non vorrei, ma ho paura”, “e se poi mi sento a disagio?”.
Ci sono delle emozioni piacevoli da sentire - gioia, entusiasmo, allegria, vabé le conosciamo.
E finché ci sono loro, ci sta bene emozionarci.
Poi ci sono delle emozioni che consideriamo ostacoli, e allora vorremmo solo sbarazzarcene.
Comprensibile.
Tuttavia, molto spesso, non è l’emozione in sé a ostacolarci, ma il fatto stesso che ci intoppiamo aspettando che se ne vada.
La mettiamo al centro del microscopio della nostra attenzione come se non fosse normale che lei sia lì.
E allora quella si ingrandisce - d’altronde, il microscopio serve proprio a questo.
Lei si ingrandisce e ci ingombra, noi ci fermiamo e restiamo lì a guardarla.
Vogliamo che se ne vada.
Aspettiamo che se ne vada.
E finché non se ne va, noi non ci muoviamo.
Si innesca uno strano “un due tre stella” (non ditemi “stai là” perché ancora non ci credo) tra noi e la nostra emozione ostacolo.
Noi non ce ne andiamo finché lei non se ne va. Lei non se ne va finché non smettiamo di guardarla.
Ma l’ostacolo è questo gioco, non l’emozione.
N.B.: se i livelli di ansia, angoscia, tristezza, paura e così via, raggiungono livelli che ti bloccano attivamente nello svolgimento delle cose della tua vita, allora è diverso e ci si lavora in terapia.
IL METODO APNEA
L’anno dopo sono tornata a sciare.
La Pista Topolino l’avevo superata l’anno prima, ormai Piste Blu e Rosse erano mie.
Più sicura di me, decido di sciare insieme alle altre persone con cui ero partita, che sciavano da quando erano piccoli esseri umani.
Davanti a me, una Pista Nera.
Dentro di me, l’emozione ostacolo: la Paura.
In sincerità, non era neanche nera. Però lo sembrava.
A volte, nella vita, le Piste Rosse sembrano Nere, e dalla cima guardiamo a valle, vediamo quant’è ripida la discesa, quant’è ghiacciata la pista, e proviamo paura.
E io su quelle piste ho imparato una cosa di me: se mi fermo a guardare giù, non scendo più.
Rimango qui, mi lascio sbranare dai lupi, preferisco, oppure mi congelo, o magari scendo a piedi, chiamo un Gatto delle Nevi, un Taxi di montagna, un elicottero, mia mamma.
Dai, la evito questa Pista Nera.
Almeno finché non passa la paura.
Perché se ho paura, significa che non sono pronta. Significa che è troppo presto, che è la scelta sbagliata, che sarebbe meglio aspettare, che non ce la posso fare.
Oppure, se ho paura significa che ho paura.
Che sono un essere umano, che si emoziona, che è davanti a una cosa nuova o semi-nuova e prova un’emozione coerente alla situazione.
Significa che sono una persona, la cui corteccia prefrontale ha il compito di farmi considerare i possibili scenari, ma non di crearli.
Significa che sono viva.
Perché l’emozione non fa una valutazione cognitiva prima di presentarsi. Sta a noi farla, ma non prendendo le emozioni come prova inconfutabile e oggettiva, ma solo come una delle informazioni da prendere in considerazione.
Allora, spesso, dobbiamo muoverci insieme alla paura.
Prenderla e prenderci per mano e dirci “vabé, ho paura, quindi? Che ci vogliamo fare? Non facciamo più niente?”.
Per mano, in cima a una Pista Nera, che forse è Rossa, ma che lo scopriremo solo alla fine.
Una curva alla volta perché alla fine anche una Nera è una curva alla volta e allora pensiamo a questa curva neanche alla prossima solo a questa così in apnea come per leggere questa frase senza virgole senza fiato senza starci troppo a pensare che è lì il coraggio mentre c’è la paura e c’è un’altra curva e hai visto questa l’abbiamo fatta ora pensiamo alla prossima perché se non pensi a tutte le altre davanti a te hai solo questa e nel frattempo
sei giù.
A valle.
Prendi fiato.
Ce l’hai fatta.
Sorridi.
Cruda.
Mi hai fatto ridere, ridere per l’ironia con cui tratti emozioni che possono davvero rovinarci giornate, settimane. E se invece siamo leggeri, e non ci prendiamo sul serio, vediamo una curva solo, ignorando le mille duecento curve che ci terrorizzano. E alla fine quella curva capiamo che non era poi vera paura, perché la dimensione dell’emozione la decidiamo noi, non lei, la paura. Grazie infinite 🙏
Che bello leggerti. Grazie ❤️